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Il Filo
Se arrivi al punto di gettare lacrime vuol dire che non ci stai più dentro.
Se tutto quello che hai ricercato con tutte le tue forze, quel Filo, il Filo del discorso, ti sguscia via e ti fa male,un male incurabile, tutte le volte che credi di afferrarlo, vuol dire che non ci stai più dentro.
Ho scritto sotto dettatura.
Dettava la mia voglia di esserci, con i miei errori, le mie insicurezze, con un passato che mi ha sempre inseguito come un cane randagio che ho amato e amerò sempre, nonostante avesse la rabbia e che mi ha insegnato, tardi, a mordere.
Ho scritto per far valere quel poco, quel tanto, nel gioco, per diventare importante per qualcuno, per far parte della comitiva, per dare qualcosa di me che non ho mai dato a nessuno, così lo davo a tanti sconosciuti, improbabili estranei.
E poi l’ho perso. Il filo del discorso l’ho perso. L’ho cercato in tanti posti, l’ho inseguito in te, soprattutto, da qualche parte nel tuo corpo doveva esserci, ero certa di trovarlo, forse nelle costole, forse sotto il fegato. Grande fegato. Perché tu avevi fegato, lo hai sempre avuto. Non c’era.
In quella dannata gabbia toracica che t’imprigionava. Non c’era.
Ho studiato la tua mappa e ho toccato tutti i tuoi porti, dopo aver solcato mari che mai avrei potuto immaginare, mi sono infilata in tutte le tue bettole e ho ascoltato tutti i tuoi racconti, li ho ascoltati bene, in silenzio, amandoli, per poi raccontarli.
Ho cercato, anche quando sapevo di essermi persa, di non riuscire a ritrovarmi, sono tornata indietro, sono andata avanti, mi sono spinta oltre la realtà, in qualche caso ho fatto finta di scrivere, sbeffeggiare, ironizzare, cantare, persino verseggiare.
Ho chiesto informazioni, istruzioni, chiarimenti, mappe circostanziate, per muovermi meglio, per raggiungerti.
Qualcuno mi ha consegnato un portolano, qualcuno mi ha schernito, qualcuno mi ha criticato, qualcuno non mi ha capito affatto e mai mi capirà, ma ho avuto la fortuna di costruirmi un’ombra, che mi ha aiutato.
Ho tenuto sempre il timone saldo, anche quando la tempesta voleva strapparmelo dalle mani e ho gonfiato le vele al massimo, tutte quante, per poterti inseguire al di là dell’immaginazione, dove l’ortografia non ha nessuna importanza, dove scrivere è solo un paravento, dove gli errori non esistono, dove le impalcature del nostro vivere appaiono e scompaiono solo soffiandoci sopra e si muovono in continuo in formazioni che evolvono sempre senza imposizioni, credi o obblighi, in stormi liberi e dove c’è tutto e il contrario di tutto, dove risiede la temperanza e si è sempre, proprio sempre, in amore.
Ma lì, non ti ho trovato.
La chiudo qui.
Tu resta pure dove sei, nasconditi bene, che asciugo le lacrime, imbraccio il fucile, perché, prima o poi, ti ritroverò.
Mary Read.